La Cassazione conferma l’esclusione della subordinazione in assenza dell’eterodirezione
La caratteristica preliminare del rapporto di lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, è l’eterodirezione dell’attività, vale a dire l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro: il lavoratore deve eseguire la mansione affidatagli nei modi e nei tempi imposti dal datore di lavoro ovvero dai suoi collaboratori dai quali il lavoratore dipende gerarchicamente (la cosiddetta «eterodeterminazione della prestazione»): si tratta, con tutta evidenza, di un assoggettamento limitato alla prestazione dedotta in contratto, vale a dire di una dipendenza tecnica, funzionale all’organizzazione dell’impresa.
Tale concetto è stato confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 16 ottobre n° 21023. Nel caso di specie, la corte di cassazione, in riforma della sentenza resa dal giudice di primo grado, dichiarava la nullità dell’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Ispettorato del lavoro. L’ordinanza era stata emessa conseguentemente alle contestazioni elevate alla proprietaria di un immobile adibito a residence, a seguito di una ispezione avviata dalla Guardia di Finanza, che aveva rinvenuto nell’immobile alcune persone intente a lavori di pulizia dei locali ed in relazione alle quali erano state riscontrate violazione delle norme sulla tutela del lavoro.
Pertanto è opportuno ribadire che, secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo della Corte, ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento; l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa, mentre altri elementi, come l’osservanza di un orario, l’assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante, l’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.
In sostanza, la Corte ha escluso che vi sia la prova della messa a disposizione da parte delle due lavoratrici delle loro energie lavorative, con obbligo di sottostare alle disposizioni impartite dal superiore gerarchico e, quindi, il loro inserimento in una organizzazione aziendale. Tale giudizio è stato espressamente esteso anche alla lavoratrice addetta a riscuotere i canoni di affitto, avendo la Corte ritenuto nel suo insindacabile apprezzamento in fatto che si trattava di mansione inidonea a snaturare il rapporto intercorrente tra le parti.
La Corte ha annullata l’ordinanza-ingiunzione dall’Ispettorato del lavoro (nella quale si contestava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il proprietario e le lavoratrici) in quanto ha ritenuto tali rapporti sporadici e occasionali, di breve durata, connessi alla natura turistica dell’immobile e alle esigenze della clientela ed in relazione ai quali mancava un diretto controllo da parte della committente, residente in altra località.
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